Sibilla Aleramo e il prezzo della libertà
Sabato 20 gennaio 1906, Roma.
Sibilla Aleramo sedeva alla sua scrivania, la penna nella mano tremante. La prima edizione del suo romanzo autobiografico Una donna aveva visto la luce solo qualche mese prima, e la sua vita, da quel momento, non sarebbe stata più la stessa. Il racconto della sua fuga da un matrimonio opprimente e di una vita vissuta all’ombra delle convenzioni sociali aveva scosso il pubblico, destando ammirazione e scandalo.
Ma chi era davvero Sibilla Aleramo?
Il suo vero nome era Rina Faccio, nata nel 1876 a Alessandria, una cittadina del nord Italia. La sua infanzia fu segnata dalle tensioni familiari: il padre era un uomo rigido e autoritario, mentre la madre, fragile e depressa, tentò persino il suicidio. A soli quindici anni, Rina fu costretta a trasferirsi nelle Marche, dove il padre aveva accettato un lavoro come direttore di una fabbrica. Qui, ancora adolescente, conobbe l’uomo che sarebbe diventato suo marito.
Il matrimonio fu un disastro. Rina, intrappolata in una vita domestica che sentiva soffocante, provava un profondo senso di solitudine. La nascita di un figlio non fu sufficiente a farla restare. Fu durante questo periodo che cominciò a scrivere. Le parole erano il suo unico rifugio, l’unico modo per esprimere una voce che la società cercava di reprimere. Ma scrivere non bastava: doveva fuggire. Così, a trent’anni, lasciò tutto, compreso suo figlio, per iniziare una nuova vita a Roma.
A Roma, Rina divenne Sibilla Aleramo, un nome che evocava mistero e forza, come la profetessa dell’antichità. Frequentò circoli intellettuali, legandosi ad alcune delle personalità più influenti dell’epoca. Tra loro ci fu anche Giovanni Cena, poeta e giornalista, con cui Sibilla intrattenne una tormentata relazione. Fu Cena a incoraggiarla a scrivere il romanzo che sarebbe diventato la sua opera più famosa.
Una donna
Una donna uscì nel 1906 e suscitò immediatamente clamore. Era uno dei primi romanzi italiani a esplorare apertamente il tema dell’emancipazione femminile e il dramma personale di una donna in un mondo dominato dagli uomini. Attraverso la sua protagonista, Sibilla raccontava il viaggio di una donna verso la consapevolezza di sé, l’abbandono delle convenzioni e la lotta per l’indipendenza. La storia di Sibilla era la storia di molte donne, intrappolate in ruoli che non avevano scelto.
Il successo del libro le diede nuova linfa e Sibilla continuò a scrivere e a viaggiare. Durante la Prima guerra mondiale conobbe Dino Campana, che non era al fronte perché gli era stata già diagnosticata una malattia mentale e con cui ebbe una relazione tormentata e distruttiva.
Dal 1919 pubblicò diverse opere, spesso ispirate a eventi personali. Nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti, ma in seguito, ritrovatasi nell’indigenza, appoggiò il regime. Nel 1943 le fu ordinato di trasferirsi a Salò ma Sibilla rifiutò. Al termine della Seconda guerra mondiale si iscrisse al PCI.
Sibilla Aleramo morì nel 1960 e fu sepolta presso il Cimitero del Verano di Roma.
Sibilla fu una delle prime femministe italiane, partecipando attivamente ai dibattiti politici e sociali del suo tempo. La sua voce divenne un simbolo per molte donne che, come lei, cercavano di affermare la propria identità in una società che le relegava ai margini. La sua scrittura non era solo letteratura: era un atto di ribellione, un grido di libertà.