La spia celeste – Cristoforo Gorno – Recensione

La spia celeste – Cristoforo Gorno – Recensione

20 Luglio 2023 Off di Anna Maria Pierdomenico

𝐌𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐞𝐫𝐚 𝐚 𝐜𝐞𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐂𝐫𝐢𝐬𝐭𝐨𝐟𝐨𝐫𝐨 𝐆𝐨𝐫𝐧𝐨

È successo qualche mese fa. Presentazione vicino casa, a Guardiagrele, di Cristoforo Gorno, divulgatore i cui programmi in casa nostra sono diventati proverbiali. Mattatrice dell’evento, la vulcanica Elsa Flacco, non possiamo mancare.
Io e Andrea ci piazziamo in prima fila e lo spettacolo comincia.
Sono di certo le note e le parole di “Jesus Christ Superstar” che vengono alla mente ascoltando Cristoforo Gorno che parla del suo libro, “La spia celeste”.
E perché mai? Partiamo dal principio.
Il romanzo prende le mosse da un presupposto alquanto sfizioso: e se San Paolo fosse stato una spia al soldo dei Romani infiltratasi tra i cristiani e avesse finito col credere lui stesso al suo inganno? Nel I secolo d.C. la Galilea è una polveriera a causa delle tensioni religiose – è cambiato parecchio in duemila anni, eh – e se c’è una cosa che i Romani amano di più dei saltimbocca, delle fraschette e delle brutali violenze nell’arena, è l’ordine. Un nuovo credo, che fatica ad affermarsi ma che ha già diversi adepti, che predica la non violenza e la mitezza potrebbe essere utile, molto utile. Mica vorremo correre il rischio di ritrovare scritte sui muri del tenore di “Romanes eunt domus” come in Brian di Nazareth?
Ma chi potrebbe essere questo 007 ante litteram? Un uomo sospeso tra mondo romano e giudaico, che passi inosservato, per lo meno inizialmente. La scelta ricade su Saulo, cittadino romano che viene da Tarso, acuto osservatore e ottimo conoscitore dei suoi polli, che dopo una provvidenziale caduta da cavallo si dichiara pentito per aver perseguitato i cristiani in passato e viene accolto a braccia aperte. I seguaci di Gesù, si sa, davanti a qualcuno che ne ha fatte di cotte e di crude e poi grida alla redenzione non sanno resistere. Inizia così il cammino di Saulo per convertire le genti.

La conversione di San Paolo – Caravaggio

Assunto il “nom de plume” di Paolo senza particolari spiegazioni – nelle sacre scritture talvolta ci sono buchi di sceneggiatura degni dei film di Dario Argento – il nostro protagonista parte con lancia e invettive in resta. Il futuro santo è un drittone e capisce subito che gli Ebrei sono troppo attaccati al loro credo, quindi è meglio provare a insinuarsi tra i pagani. Non che manchino gli ossi duri tra i seguaci dell’antica religione. Va bene il Dio padre, va bene il figlio, ma la figura materna dov’è? A Efeso, davanti al tempio della dea Artemide, vergine e in un certo senso madre, viene fuori il grande nemico della predicazione di Paolo: le donne.
Reali o immaginarie, mortali o dee, non fa differenza, se avete due cromosomi X vi colpisca un anatema. Stupiti che il santo misogino la pensasse così? No? Nemmeno io. C’è solo una cosa che lo mandi altrettanto ai matti: le risate. Mostrando un senso dell’umorismo pari a quello del fratello Jorge del “Nome della rosa”, Paolo preferirebbe di gran lunga affrontare tortura e morte.
Fonti storiche ci dico che San Paolo fu a lungo protetto dalle autorità romane, quando gli ebrei volevano farlo in salmì, e che negli anni successivi alla crocifissione l’intero establishment della Galilea – Pilato, Erode e Caifa – fu spazzato via, quindi perché non indulgere in questa alternativa versione dei fatti?
Facciamo un passo indietro: perché ho nominato “Jesus Christ Superstar”?
Per due motivi: il primo è che, come nel musical, la storia è a più voci e tutti i personaggi mostrano che in qualche modo hanno le loro ragioni. Cambiare punto di vista, anche osservando il mondo attraverso gli occhi dei personaggi tradizionalmente negativi, è spiazzante e interessante.
Il secondo è che, nelle parole di Gaio di Derbe, sodale di Paolo che ad un certo punto si stufa delle spacconate mistiche dell’amico, è facile percepire l’influsso del personaggio di Giuda del musical.
“You’ve started to believe/ The things they say of you. /You really do believe
/This talk of God is true.
And all the good you’ve done/ Will soon get swept away/ You’ve begun to matter more/ Than the things you say.”
Per concludere, “La spia celeste” è un libro scorrevole e incisivo, che ci riporta alla storia di quei tempi combinando con efficacia realtà e finzione, azione e riflessione.
Ma veniamo all’imprevisto finale della presentazione. Elsa ci ha presentato Cristoforo Gorno e ci ha proposto di cenare con loro. Da bravi sfacciati, non ci siamo tirati indietro. L’atmosfera è stata così familiare e rilassata che, da storditi quali siamo, ci siamo dimenticati di farci una foto col nostro divulgatore pulp preferito.
Sarà – se la cura di fosforo ci fa effetto – per la prossima occasione.

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