L’invisibile sguardo della morte (2001)

L’invisibile sguardo della morte (2001)

Erano le 9: 30 di una fredda mattina d’autunno. La pioggia batteva incessantemente sui vetri della piccola auto che sfrecciava verso la prigione di stato, ma niente avrebbe potuto rovinare l’umore dell’uomo che vi stava seduto dentro: Richard Herrison. Era un giovane giornalista di un giornale di provincia, il “New Gazette”, al suo primo incarico importante e sapeva che quel giorno avrebbe cambiato la sua vita. Vedeva già la sua firma sotto l’articolo in prima pagina.

L’intervista

Non era certo come vincere il Pulitzer, ma avrebbe comunque fatto andare su tutte le furie quelli che l’anno precedente l’avevano licenziato. Da quando aveva cominciato a lavorare al “Gazette” la sua carriera era stata in ascesa e quest’ultimo articolo avrebbe coronato i suoi sforzi. Cos’altro importava nella vita? Non immaginava certo di doversi ricredere di lì a poco, non immaginava certo che si sarebbe presto trovato di fronte a qualcosa che l’avrebbe fatto pentire di quell’affermazione.

Richard parcheggiò la sua auto, poi entrò nella prigione esibendo con orgoglio il suo lasciapassare. Mentre un secondino lo accompagnava lungo il corridoio buio, si spaventò del proprio cinismo: non gli importava affatto che l’occasione della sua vita gli fosse data dalla morte di una donna. Poi si riscosse: si era impegnato al massimo per avere quel lavoro e nulla l’avrebbe fermato, nemmeno la morte.

Si disse che aveva affrontato cose ben peggiori, come quegli squali del vecchio giornale che ogni attimo avevano tentato di farlo a pezzi: ma sapeva di mentire a se stesso. Pur dando l’impressione di sentirsi tranquillo e sicuro davanti alla porta che lo separava da Margaret Milwer l’enormità di ciò che stava per affrontare lo fece vacillare. Poi si fece coraggio, abbassò la maniglia ed entrò.

Si trovò davanti una giovane sui trent’anni che fissava con occhi vitrei la parete che le stava di fronte. Aveva capelli biondi cortissimi, come una convalescente dopo una lunga malattia e la tuta scura finiva col togliere qualsiasi parvenza di vita e di colore a quel viso assorto e pallidissimo.

Poi la giovane alzò gli occhi sul giornalista e disse freddamente:

“Così è lei Richard Herrison. Veda di fare un buon lavoro: sono servita a ben poco durante la mia vita, spero di essere almeno utile nella morte.”

Quelle parole dette con tanto gelo lo colpirono come uno schiaffo e qualcosa in quello sguardo gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Richard riuscì a stento a controllarsi. Si sedette e le rispose:

“Si, io sono Herrison. Senta io non sono qui per speculare su…su quello che le sta per accadere, ma sono venuto solo per fare il mio lavoro e, come ha detto lei, per farlo bene.”

“Lo faccia anche in fretta così mi lascerà in pace.” Ribatté la donna. Continuava a parlare freddamente e con distacco, come se ciò che le accadeva intorno non la riguardasse. Avrebbe parlato così durante tutto il colloquio. Solo per un momento sarebbe emerso il suo vero io, quella fiamma segreta che l’animava.

“Come vuole – continuò Herrison– mi parli dell’omicidio.”

“Che vuole sapere?”

“Parli pure a ruota libera.”

“Libera. Ho paura che la libertà sia ormai un concetto a me estraneo. Otto anni fa mio fratello Paul aveva deciso di sposarsi. La sua fidanzata, Caroline, però lo lasciò perché si era innamorata di Christopher Desmond, il figlio di un senatore. Per mio fratello lei era tutto. Aveva sempre detto che avrebbe dato anche la vita per lei e lo fece: s’impiccò. Paul mi aveva lasciato una lettera in cui aveva scritto: “Dopo tutto io l’ho perdonata, ora Meg tu perdona me e perdona anche lei”. Quando trovai il cadavere e la lettera dissi a me stessa che loro non meritavano il perdono. Mio fratello avrebbe perdonato me per avergli disobbedito: lui, al mio contrario, era capace di farlo. E sul suo corpo esangue promisi a Paul che chi lo aveva ucciso lo avrebbe seguito all’inferno. Così fu: mi recai a casa di Desmond con una pistola e feci fuoco. Dopo un attimo era tutto finito e sia Caroline che Desmond stesso erano a terra privi di vita. Mi costituii: giustizia era fatta, ma come loro erano stati puniti ora dovevo esserlo anch’io”

“Non considerarono le attenuanti? Tra l’altro si è anche costituita ”

“Non esistono attenuanti per chi uccide il figlio di un senatore.”

C’era qualcosa che Richard non riusciva a capire. Dopo tutto credeva di aver capito la personalità della donna che gli stava davanti e si chiedeva perché una persona tanto forte aveva gettato al vento la sua vita in quel modo: capiva il dolore e il desiderio di vendetta, ma ne valeva veramente la pena?

“Ma perché ha fatto un simile gesto? Così facendo ha distrutto la sua vita e non ha certo riavuto suo fratello.”

Di colpo negli occhi di Margaret arse una fiamma e balzando in piedi urlò con rabbia e con dolore:

“Perché? Perché Paul era tutto ciò che avevo e lo avevo sempre protetto da ogni cosa, ma non sono stata capace di proteggerlo da se stesso! Perché volevo dimostrare che a far del male si riceve solo male e che la morte genera solo la morte: la morte di mio fratello ha generato quella di Desmond e quella di Desmond la mia. E’ un ciclo che nessuno può fermare, nessuno.”

Poi improvvisamente si calmò e riprese il suo solito tono gelido e distaccato:

“Ora se ne vada e mi lasci sola.”

Poi Margaret lo guardò ancora una volta e lui ebbe l’impressione che quegli occhi gli scavassero dentro fino in fondo all’anima. Poi lei aggiunse:

“Mi auguro che verrà a vedermi morire.”

“Addio miss Milwer” Furono le uniche parole che riuscì a dire. Le avrebbe ricordate per sempre.

Tornato a casa Richard buttò l’impermeabile sul divano e si sedette alla sua scrivania per buttare giù l’articolo intitolato “L’invisibile sguardo della morte”. Tentò di scrivere qualcosa, ma non ci riuscì: le parole di Margaret gli risuonavano nella mente e sentiva ancora l’indefinibile voce di lei che diceva: “La morte genera solo la morte.”

Ora capiva benissimo chi fosse Margaret Milwer: era un fuoco ardente che l’implacabile durezza della vita aveva trasformato in gelo, era la vita che sprofondava nell’abisso della morte. Prese la sua decisione e sul suo articolo non parlò più della giusta condanna di una duplice omicida che con premeditazione e con freddezza aveva stroncato due giovani vite com’era intenzionato a fare all’inizio, ma parlò di ciò che il dolore può causare nelle persone e di come possa mutare il cuore e l’anima di coloro che hanno la sventura di trovarsi faccia a faccia con esso.

Il risultato fu il rivolgere un appassionato appello al governatore chiedendogli la grazia. Quando finì l’articolo sorrise a se stesso. L’ex senatore Desmond era ancora un uomo molto potente e si sarebbe vendicato: con questo gesto aveva interrotto la sua carriera di giornalista ancor prima che questa cominciasse. Gli venne in mente ciò che aveva pensato solo poche ore prima: “Cos’altro importava nella vita?” Ora sapeva che in essa c’era di più, molto di più.

Un circolo vizioso

C’era voluta molta fatica per convincere il direttore a pubblicare il suo articolo e aveva dovuto promettere che si sarebbe assunto ogni responsabilità, ma alla fine c’era riuscito. Il direttore aveva congedato Richard dicendo:

“Ti stai rovinando con le tue stesse mani ragazzo, spero che tu sappia quello che stai facendo.”

Richard aveva replicato che sapeva benissimo ciò che stava facendo e che non avrebbe mollato a nessun costo.

Erano ormai passate più di quarantotto ore dal suo appello e la grazia non era ancora stata concessa. Quella mattina alle nove Margaret sarebbe stata giustiziata. Erano le otto e Richard si preparò per andare al suo macabro appuntamento con la morte. Quando arrivò alla prigione di stato mancava solo mezz’ora all’esecuzione.

Intanto nella stanza dove sarebbe dovuta andare incontro al suo destino Margaret fissava il soffitto sdraiata su un lettino. Poi improvvisamente disse alla guardia che le stava accanto:

“Non ha diritto un condannato all’ultimo desiderio?”

“E che cosa vorresti?” Rispose la guardia.

“Qui fuori c’è Richard Herrison, un giornalista del “New Gazette” ed io vorrei parlargli. “

“Non so se si può fare” disse rivolta ad un collega

“Se c’è lascialo entrare, dopo tutto che cosa può succedere? E poi questa poveretta avrà pure diritto a dire la sua un’ultima volta prima di morire, tutti ne avrebbero diritto.”

“Come vuoi.” Rispose la prima guardia.

Dopo qualche secondo la guardia riapparve con Richard al suo fianco. Il giovane le si avvicinò e le strinse forte la mano. Lei gli parlò dolcemente e trattenendo a stento le lacrime: “Ascolta le mie parole Richard. Io so di essere arrivata al capolinea e che niente può più essere fatto per me, ma ti ringrazio ugualmente per il tuo gesto, grazie al quale ho potuto ritrovare un po’ dell’umanità che c’è in me. Sai, è strano -continuò con un sorriso amaro- per otto anni ho aspettato questo momento ed ora che è arrivato io voglio solo e disperatamente vivere. Purtroppo però io non posso perché non sono riuscita a spezzare il circolo e grazie a me la morte ha generato la morte. Dopo tutto non sono stata poi così forte come credevo di essere, ma tu puoi farcela. Ora ascolta il mio consiglio: torna là fuori e vivi come non ho saputo fare io.”

“Non morirai te lo giuro!”

“Non giurare ciò che non puoi mantenere. E’ assurdo che due estranei come noi si siano sentiti tanto legati, ma io credo di sapere perché è successo. Tu devi vivere per me, per impedire che il circolo di morte si compia di nuovo. Perciò se vuoi giurarmi qualcosa devi giurare che racconterai agli altri quanto male può portate il male e per me sarà sufficiente. E’ tutto ciò che puoi fare per me ed io non ti chiedo di più.”

Lei lo guardò un’ultima volta, poi Richard fu fatto uscire dalla stanza.

Guardandolo andare via gli disse: “Se Dio mi perdonerà pregherò per te.”

Mancavano ormai pochi minuti alle nove e Richard passeggiava nervosamente davanti alla stanza dell’esecuzione, aspettando che il telefono, attraverso cui sarebbe giunta la grazia, squillasse. Ma quel telefono non squillò mai. Un gesto, un sospiro, una lacrima, poi il nulla. Margaret Milwer moriva a soli trent’anni a causa di un’iniezione letale.

Richard non riusciva a capire, si rifiutava di capire. Aveva rovinato se stesso eppure non era servito a nulla, per la prima volta aveva creduto in qualcosa e aveva fallito. Non ce la faceva più a rimanere in quella stanza e decise di andarsene. Mentre tornava a casa in auto si fermò su un ponte e parcheggiata l’auto si appoggiò sul parapetto e si mise a fissare il vuoto torturato da un pensiero fisso: perché Margaret era morta? Margaret, Margaret, non riusciva a togliersi quel nome dalla testa, come non riusciva a dimenticare la fatidica frase che lei aveva pronunciato. D’improvviso un pensiero gli attraversò la mente e alzò lo sguardo verso il cielo. Chissà se Margaret era stata veramente perdonata e stava pregando per lui. Richard non lo credeva: l’anima di lei era persa e ormai lo era anche la sua. Scavalcare la balaustra e gettarsi nel vuoto fu cosa di un attimo.

La morte aveva di nuovo generato la morte.

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