
Roccascalegna e l’indelebile mano di sangue
Sorto verso l’XI-XII secolo dall’ampliamento di una torre longobarda, il castello di Roccascalegna domina la valle del Riosecco, affluente del Sangro, sfidando la forza di gravità su uno sperone di roccia.
Dalle origini al novecento
Fatta eccezione per un documento del 1320, non abbiamo altre notizie dello sviluppo della roccaforte fino 1525, quando venne restaurata. I maggiori lavori di ampliamento furono portati avanti dalla famiglia Carafa, che dominò su Roccascalegna dal 1531 al 1600, prima di cedere il passo alla famiglia dei Corvi, che durò tra il 1600 ed il 1717.
Proprio a questo periodo risale una delle più note leggende sula costruzione, quella di Corvo de Corvis di cui vi racconterò tra breve. Nei secoli seguenti il maniero fu abbandonato e cadde nell’oblio, inoltre fu funestato da diversi crolli. Il più noto è probabilmente quello del 1940, quando collassò la “Torre del Cuore”, chiamata in questo modo per lo stemma sulla porta principale.

Castello di Roccascalegna, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53944692
Roccascalegna oggi
Nel 1985 il castello fu donato al comune dalla famiglia Croce Nanni e negli anni ’90 la struttura fu finalmente restaurata. Certamente l’aspetto più noto e spettacolare dell’edificio è la posizione in cui esso sorge, apparentemente in bilico sul borgo sottostante, che attualmente è stato parzialmente restaurato e che ospita la chiesa di San Pietro risalente all’incirca al XVI secolo.
Le mura maestose che circondano il maniero, la ripida rampa d’accesso e le tre torri rimaste – quella della Sentinella, la torre del carcere e la torre angioina – contribuiscono a rendere la cittadella ancora più spettacolare. Il castello di Roccascalegna compare nel film “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone.

La chiesa di San Pietro – https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3970343
Il barone de Corvis
Il barone de Corvis era solito tormentare i suoi vassalli e imponeva loro di venerarlo. Chi si rifiutava veniva gettato in un pozzo sul cui fondo erano conficcate delle spade. Le sue malefatte valsero al barone il soprannome di Corvo de Corvis. Il nobile decise anche di imporre lo Ius Primae Noctis. Chi si sposava doveva pagare una tassa per riscattare la propria moglie e chi non aveva denaro doveva cedere la prima notte di nozze al barone. Il sacerdote del borgo, indignato, scomunicò Corvo de Corvis, ma pagò la sua sfida con la vita. Il feudatario lo fece trucidare e per il suo popolo fu l’ultima goccia.
La mano di sangue
Due giovani si recarono al castello, asserendo di volersi sposare ma di non avere la possibilità di pagare la tassa dovuta. Fu stabilito quindi che la sposa avrebbe trascorso la notte con de Corvis. Quella sera la donna si recò alla rocca e fu accompagnata nella camera del barone. Lui si accorse troppo tardi che lei era armata di pugnale e non riuscì a impedirle di conficcarglielo nel petto. Secondo un’altra versione a uccidere il barone fu lo sposo che si era camuffato. De Corvis si portò la mano al cuore, maledicendo l’assassina e la sua discendenza. Mentre cadeva si appoggiò alla parete, lasciando una nitida impronta insanguinata.
La leggenda vuole che mai nessuno sia riuscito a togliere quella macchia cremisi, che riaffiorava ad ogni tentativo di pulirla. Nel 1940 un crollo si è portato via la stanza da letto del barone, ma la leggenda della mano di sangue non è stata dimenticata.
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