La figlia del tempo – Recensione

La figlia del tempo – Recensione

22 Novembre 2020 0 di Anna Maria Pierdomenico

Titolo: La figlia del tempo

Autore: Josephine Tey

Casa Editrice: Mondadori (versione italiana)

Anno: 1951 (ed. italiana 1976)

La figlia del tempo

Oggi, per la mia rubrica di piccole recensioni, vi voglio parlare di un classico del giallo che ho appena letto e che mi ha colpito moltissimo: La figlia del tempo di Josephine Tey. Mi sono imbattuta in questo libro per puro caso, saltellando qua è là tra le pagine di Wikipedia e venendo attratta dal link alla pagina dei Cento migliori romanzo gialli di tutti tempi. Io, lettrice di gialli da ben tre generazioni e fiera proprietaria di alcune librerie così abbaglianti da dover essere guardate con gli occhiali da sole, potevo mai non seguirlo? Ovviamente no.

Ho scoperto così che nel 1990 la Crime Writers Association , un’organizzazione britannica di scrittori di giallo, horror e thriller, ha stilato una classifica dei cento migliori libri crime della storia, inserendo al primo posto – sopra ad opere come “Il mastino dei Baskerville”, “Il nome della rosa” e “Dieci piccoli indiani” – proprio il romanzo di cui vi sto per parlare.

La mia curiosità è ulteriormente aumentata quando ho scoperto che anche la Mistery Writers of America, omologo statunitense della CWA, era quasi dello stesso identico avviso, quindi mi sono procurata La figlia del tempo.

Ritratto di Riccardo III (Anonimo)

Il protagonista del romanzo è Alan Grant, ispettore di Scotland Yard costretto temporaneamente in un letto d’ospedale a causa di una brutta caduta. Per aiutarlo a passare il tempo, la sua amica Marta Hallard gli porta una serie di ritratti di personaggi storici legati a qualche mistero irrisolto e lo invita a sceglierne uno per cimentarsi in una sorta di indagine accademica.

Alan, che si è sempre dimostrato molto abile nello studiare i volti e le espressioni, viene colpito da un viso in particolare, mesto e pensoso. Il viso, secondo l’opinione sua e della caposala, di una persona che ha patito dolori indicibili.

Quando lui – da sempre convinto di poter distinguere con uno sguardo “un giudice da un imputato”  scopre l’identità dell’uomo del dipinto il suo stupore non potrebbe essere più grande: quell’espressione di calma sofferenza appartiene infatti a re Riccardo III, passato alla storia come il più spietato assassino d’Inghilterra. Secondo la tradizione Riccardo si è macchiato di crudeltà e tirannia e, soprattutto, non ha esitato a far uccidere i nipotini, i celebri principi nella torre, pur di salire al trono.

Un piccolo cenno storico. Siamo allo scontro finale delle Guerra delle due Rose e nella battaglia di Bosworth (1485) Riccardo III viene sconfitto da Enrico Tudor, che diventa re al suo posto. Da quel momento su lui si abbatte una vera e propria damnatio. Ma era davvero lo spietato e folle tiranno di cui ci narrano Shakespeare e Tommaso Moro, che erano al servizio dei Tudor? Ed era davvero lui quello che aveva più da guadagnare dalla sparizione dei due piccoli principi?

Con l’aiuto del giovane ricercatore Brent Carradine, Grant si lancia in un’indagine attraverso libri di storia, biografie e cronache dell’epoca, portandoci con sé a conoscere storie e personaggi dimenticati, che gettano nuova luce su come potrebbero essere andate davvero le cose.

Un giallo sui generis, che farebbe impazzire gli appassionati di storia, ma forse storcere un po’ il naso agli amanti di una trama più canonica. Io l’ho apprezzato tantissimo, complici sia la mia passione per il passato sia la simpatia immediata per il protagonista, disincantato, dotato di una pungente ironia e rabbiosamente insofferente a quelle che ora chiameremmo “fake news”.

Consigliatissimo, non solo per il fatto che è stato di recente definito “uno dei libri più importanti mai scritti”, ma anche per guardare il romanzo giallo da un’altra prospettiva.

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