I miei vuoti pieni – Recensione

I miei vuoti pieni – Recensione

Titolo: I miei vuoti pieni

Autore: Angela Sammarco

Casa editrice: Edizioni Tabula Fati

ISBN: 978-88-7475-818-0

Anno: 2020

Prezzo (Euro): 7

N. Pagine: 56

 

I miei vuoti pieni

Oggi per la mia rubrica di piccole recensioni torno nel mondo della poesia. Il volume che ho scelto per voi ha l’intrigante titolo  I miei vuoti pieni e rappresenta l’esordio letterario, per Tabula Fati, di Angela Sammarco.

Nata a Roma ma abruzzese d’adozione, Angela è da tempo attiva nel mondo dell’arte, dividendosi tra fotografia, danza e poesia, dopo una formazione che l’ha vista viaggiare tra Bologna, Torino e Parigi per studiare teatro, danza e arti circensi.

Il volume può vantare la presentazione di Daniela D’Alimonte, la brava poetessa di cui vi ho già parlato a proposito del suo “Un anno e altri giorni”. Giustamente, è proprio la D’Alimonte a definire la poesia di Angela Sammarco come “una poesia del quotidiano, della normalità”; spesso si parla – si abusa, a volte – della bellezza delle piccole cose, e nelle liriche della Sammarco emerge proprio la ricchezza di quei dettagli che sempre più vanno persi, e che solo l’occhio osservatore del poeta è in grado di cogliere.

“Ieri gli ho fatto spazio sotto l’albero
perché anche lui potesse stare all’ombra,
ma Ernesto ha preferito sorridere sotto
il sole.”

Ernesto

Le liriche sono tratte da “Ernesto”, una delle poesie più lunghe, ritratto di un’umanità che spesso ci scorre sotto gli occhi e sparisce senza lasciare traccia.
Ma la poesia di Angela è anche una poesia di contrasti, a partire dai “vuoti pieni” del titolo; timida e sfacciata allo stesso tempo, l’autrice ci conduce attraverso il suo mondo di contraddizioni, come nella bella “Ansi(a)mare”. Sembra di essere catapultati in una realtà parallela, con episodi dal respiro cinematografico (Anna e Joy), quasi ci si ritrovasse all’interno del favoloso mondo di Amélie, e altri che invece paiono omaggiare la forma canzone, come la stessa “Anna e Joy” o “Nina”:

“Nina cammina in punta di piedi col suo
maglione rosso sgualcito.
È una mela
spaventata.
Il ponte asfaltato è un braccio gigante
che attraversa le strade di Roma e i
sogni.
Nina guarda la stazione grigia e
anziana.
Sembra un film in bianco e nero che
respira.”

Tra un verso e l’altro spuntano citazioni che forse gettano una luce sulle ispirazioni di Angela. La copertina, intanto, raffigura un dipinto di Fantin-Latour, pittore impressionista, che venne utilizzato anche dalla band new wave dei New Order, sorta sulle ceneri dei Joy Division; e proprio alcune atmosfere rimandano a questo gruppo, citato forse anche nel titolo di “Anna e Joy”.
In “Alle sette di sera” pare invece palese nei versi “Anche io voglio vedere le centrali della/ luce elettrica, mischiarmi ai fumi/ verdi e rosa nostri” un tributo a Vasco Brondi, il moderno poeta metropolitano della band alternativa “Le luci della centrale elettrica”.

In conclusione, dopo avervi presentato alcune sillogi poetiche molto classiche, questo “I miei vuoti pieni” di Angela Sammarco rappresenta qualcosa di diverso, quasi come se fossero istantanee di un’emozione messe su carta senza starci troppo a pensare su, con parole scelte accuratamente ma sempre semplici e dirette.

Un affresco immediato ed emozionale che ci dice tanto dell’autrice e del suo ricco universo interiore.

 

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